Manta.
Dagli alberghi alle spiagge più belle dell’isola di Cayo Largo ci si arriva con dei trenini su ruote tipo quelli di Gardaland.
Costa due pesos andata e ritorno, il peso convertibile vale 90 centesimi di euro, per cui costa meno dell’Atm, il viaggio è più divertente e la meta più bella.
Il trenino rosso lo guida Manta, circa quarant’anni, piazzato, capelli biondi con taglio da divo di un telefilm anni 80.
Manta è educatissimo, spericolato sì, ma educatissimo.
Usa sempre signore e signora dopo le frasi.
A che ora partiamo?
Tra cinco minuti, signora.
Il viaggio dall’albergo a Playa Paraiso dura circa un quarto d’ora, finchè c’è posto passa da tutti gli alberghi, poi a trenino pieno, Manta si lancia a tutta manetta su una strada sterrata che porta alla zone delle spiagge.
Il treno dondola, cigola, va velocissimo.
L’itagliano si lamenta della polvere, del rollio e del beccheggio.
Playa Paraiso
Ma davvero mi merito di stare in un posto così?
Il trenino si ferma di fronte ad un microbaretto sistemato sotto un albero, poi si scende, in spiaggia.
Pochissime persone, tre palme (occupate) e una spiaggia killometrica deserta.
A guardare bene c’è un sacco di gente, ma la spiaggia è così grande che sembra di essere da soli.
Fare il bagno lì è…
Mistico.
Petardo, Raudo, Miccetta e Mini Cicciolo.
Ladyzilla si è abbrustolita la schiena, e visto che in spiaggia ci sono solo sette ombrelloni, occupati fin dalle prime luci dell’alba, decidiamo che per oggi, ci mettiamo all’ombra sotto una palma in piscina.
Per una volta si può fare.
Cazzeggiamo per un po’, poi arriva una signora e ci rivolge la domanda del secolo:
Ma voi vi trovate bene qui?
Sono un gruppo, si sono conosciuti lì ma vengono da città diverse, li avevamo già visti nei giorni precedenti, sono quattro uomini, quattro donne e un bambino.
Gli uomini sono grossi, bovini, con la panza da birra tesa che parte dallo sterno, spalle larghe, braccia grosse, si muovono spostando il peso da un piede all’altro, due pelati, due no, muscoli stagni e espressioni da duri di periferia.
Raudo è il marito della signora, padre del Raudino.
Egli potrebbe strangolare un cinghiale a mani nude senza sudare, parla poco.
Petardo è più grosso, usa le bestemmie al posto delle virgole, ma lo fa con occhio amichevole, cerca il contatto, il dialogo, ma una frase sbagliata potrebbe scatenare chissàcosa.
Miccetta, forse per rendere immediatamente chiara la sua situazione famigliare, ha una maglietta rosa con scritto in spagnolo, sul davanti : Figlio di puttana, e di dietro: Non rompetemi i coglioni.
Un uomo di finissima levatura.
Mini Cicciolo, come tutti i Mini Ciccioli, segue gli amichetti, con l’espressione di non capire bene che cosa succede, ma visto che loro vanno di là, ci va anche lui perché non si sa mai.
Le loro donne si possono definire semplicemente così: quelle che gli portano da bere.
Questi si lamentano, si lamentano duro, a loro il posto fa schifo e stanno raccogliendo firme.
Il mare della spiaggia dell’albergo è mosso e sul catalogo non c’era scritto, ci sono dei tafani e sul catalogo non c’era scritto, il trenino che ti porta alle spiagge esterne è a pagamento e sul catalogo non c’era scritto, tre ristoranti, un buffet di quaranta metri quadri e la pasta fa schifo e sul catalogo non c’era scritto.
Mi fanno leggere una lettera, sorvolo sull’italiano.
A noi il posto piace, non firmiamo.
La signora lamenta che con il mare mosso il figlio non può fare il bagno, e che non si può mica prendere e uscire dall’albergo tutti i giorni per andare nelle altre spiagge, dove il mare è calmo.
Sono giorni e giorni che stazionano in piscina.
Io immagino di avere un figlio con la paura del mare mosso.
Se avessi un figlio spaventato dai marosi, camminerei con lui sulla spiaggia dell’albergo, lunga praticamente come tutta l’isola, gli farei vedere le uova delle tartarughe, quelle schiuse perché il cucciolo è uscito, quelle aperte dai gabbiani per pranzo, prenderei dei tronchi, costruirei una capanna e giocherei con lui tutto il giorno facendo finta di essere nei naufraghi.
Raudo preferisce la piscina, è più vicina al bar aperto 24ore, e sulle mattonelle si posano meglio i bicchieri di birra.
Non firmiamo e non ci rivolgeranno mai più parola.
Si fomentano a vicenda per tutto il pomeriggio, raccolgono sessanta firme di itagliani scontenti, scontenti dell’assenza di sdraio, di pasta al dente, scontenti per la mancanza della fettina al burro, scontenti per i dolci, scontenti perché non c’è la Coca Cola ma la Cola e basta, scontenti perché non sanno che cosa mangiare su un buffet gigantesco in un paese dove lo zucchero è razionato e la capitale ha l’elettricità scaglionata.
Di fronte ad un tiramisù serale, Raudo di scatena.
Sostiene che è acido, cerca di convincere i presenti, poi prende il piatto e va verso un cubano vestito da cuoco che mangia vicino alla responsabile del tour operator.
Raudo urla, Miccetta arriva a dar man forte.
Nella migliore tradizione dello scontro di civiltà, l’itagliano vomita insulti urlando, merda vaffanculo mi sono rotto i coglioni merda merda merda e scaglia il piatto contro la parete, il cuoco perplesso, con due che gli urlano addosso, cerca di alzarsi, Miccetta, prontamente, gli intima di stare seduto, stai seduuto stai seduuto, grande classico delle risse da parcheggio, evergreen delle mazzate di periferia quando stufi di limonare tra consanguinei, il branco attacca ragazzini di passaggio in motorino.
Ma questi non sono sedicenni di Rozzano, sono padri di famiglia in vacanza.
La rissa non scoppia, solo perché la responsabile schizza a chiamare la polizia.
I firmatari della petizione applaudono alla prova di mascolinità di Raudo e Miccetta.
Io mi vergogno come un cane.
Prego Dio, Che Guevara e Cumpay Segundo che i cubani non credano che tutti gli italiani siano così.
Io e Ladyzilla siamo allibiti.
Arriva la pula cubana e porta via Raudo, scompaiono chissà dove per un paio d’ore.
La signora è preoccupata, il figlio, ingenuamente, chiede notizie del padre, la donna sorvola.
Il gruppo rimarrà a Cayo Largo ancora per tre o quattro giorni, e Petardo starà buono buonino, stazionando in piscina con la sua cumpa.
Biciclette.
A prescindere dal fatto che con questo caldo, solo l’idea di mettermi a pedalare mi fa venire un coccolone, con le bici c’è un problema.
L’ultimo urgano le ha portate via quasi tutte.
Ne rimangono solo tre, tre eroine sopravissute alla furia degli elementi.
Tre mountain bike, talmente valorose che nessuno se la sente nemmeno di toccarle.
Chi sono io per violare il tempio eretto alle sopravissute?
Niente bici.
Street of Cayo Largo.
L’unica strada asfaltata, o meglio, mezza asfaltata e mezza no, finisce al nostro albergo, dopodiché c’è la giungla.
Giungla vera, non sto scherzando.
Un impenetrabile muro verde, magari cela le rovine di una civiltà scomparsa, o forse ci sono i leoni.
Ci saranno i leoni a Cuba?
Dato che non lo so, decido che nell’intrico della vegetazione forse è meglio non infilarcisi.
(continua)