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Diario Cubano (6)

L’asilo di zia Licia.
A Cayo Largo, Licia Colò ha fondato un centro per la tutela delle tartarughe marine.
Come ho già detto, sul lato sud dell’isola, la costa su cui affacciamo le spiagge degli alberghi, nottetempo arrivano le tartarughe a deporre le uova.
Il biologo del centro e il suo aiutante, si sbattono come due pazzi, il lavoro è complicato e laborioso.
Al mattino presto, armati di un aggeggio apposito e di un secchio, arrivano in spiaggia, scavano, levano le uova e le mettono con cura nel secchio.
Poi spostano le uova in una zona protetta, in modo che i gabbiani non se le pappino tutte, o che qualche turista idiota non inizi a tirarle addosso alla sua bella sotto al sole.
Mettono una targhetta, in modo da sapere quando più o meno si devono schiudere, e una volta nati, prendono i cuccioli e li mettono per un mesetto nelle vasche del centro.
Quando i cuccioli sono fusti e robusti, tornano in spiaggia per liberarli in mare.
Nonostante tutto questo tran tran solo il 5% delle tartarughe arriva all’età adulta.
Il biologo praticamente libera le tartarughe in mezzo ai bagnanti, e si trasforma in un novello Alberto Angela, con precisione ti racconta vita, morte e miracoli delle tartarughe e della loro attività, poi, siccome dice che porta fortuna, lascia che siano i bambini ad adagiare le tartarughe sul bagnasciuga, dopo avergli fatto dare un rituale bacino.
La tartaruga appena sente il rumore del mare (credo) inizia ad agitarsi, muove le pinnette, agita il crapino, riceve il bacio, ringrazia e finalmente tocca la sabbia.
Goffa, goffissima comincia a trascinarsi verso l’acqua, il mare è mosso, il pensiero comune è che alla prima ondata il cucciolo si ribalti, e sia necessario rigirarlo e rimetterlo in pista.
Cinquanta centimetri di sabbia che sembrano cento km, piano, slittando, cammina e cammina, poi la prima onda le bagna il muso.
E lei schizza, con un accelerazione da zero a cento degna di una Ferrari, taglia le onde e sparisce in un nanosecondo, verso l’orizzonte, verso il mare aperto.
Se tutto va bene, tra tre anni tornerà esattamente nello stesso posto per deporre le uova a sua volta.
Se tutto va bene, perché se tutto va male, tra tre anni potrebbe deporre le uova all’ingresso di un locale di Briatore.

Panico da Buffet.
Ricevo qualche occhiata di schifo, da parte degli itagliani al restaurante, perché sul mio piatto c’è un filetto di pesce, del riso bianco e delle banane fritte.
Erano disposti vicini nella stessa zona del buffet, per cui ho presunto che si abbinassero bene tra loro. Visto che loro guardano quello che mangio io, mi sento in dovere di guardare quello che mangiano loro.
Pasta e patate fritte.
Possibile?
C’è l’iradiddio, e qui siamo ancora alla pasta e alle patate fritte.
L’assaggio è il grande nemico, assaggiare è l’atto che più terrorizza l’itagliano al restaurante.
Guai a prendere un pochino di tutto e scoprire che cosa ti piace e che cosa no, guai a fare un paio di giri esplorativi, la costante è riempire il piatto come se fosse l’ultima cena del condannato a morte e mollare lì mezzo kg di cibo cincischiato.
Poi si lamentano perchè la pasta non è buona, ma, porca puttana, i giapponesi in vacanza a Milano mangiano il sushi?
Torno al tavolo, assaggio, la banana fritta è ottima, sa un po’ di patata e un po’ di cannella, con un retrogusto agrodolce che esalta il sapore del pesce e del riso bianco.
Convinco anche Ladyzilla a provare, lei assaggia, approva e sorride.
Comunque io lo so perché la pasta non è buona, anche se non andato fino a Cuba per mangiare spaghetti.
Forse perché capisco quello che mangio, o forse perché cucino, avverto che il problema non è nella pasta, ma nel sugo. E’ fatto con olio di semi e senza soffritto.
Il problema è tutto qua, ma è un mistero indecifrabile per il palato medio, palato e cervello dovrebbero essere collegati tra loro, aiutati dalla vista e dalla memoria, dovrebbero essere in grado di porre rimedio a qualsiasi problema.
Tipo, prendere dell’olio di oliva aromatizzato alla cipolla, che se ne sta bello tranquillo nella zona insalate e correggere il sugo, aggiungendoci se ti va anche delle belle olive nere, snocciolate.
Macchè. I piatti sono ricolmi di roba che viene buttata dopo un primo annoiato assaggio.
E io sono un idiota.
C’era dell’ottimo prosciutto crudo, tagliato grosso, riesco a prendere un’ultima fettina, perché c’è stato l’assalto dei Tartari.
Mentre torno al tavolo vedo una tizia con un piatto pieno di crudo, abbandonato sul tavolo e l’espressione di un indios del Borneo che vede atterrare un aero cargo per la prima volta in vita sua.
Io, idiota, non ho il coraggio di dirle: visto che non lo mangi, posso prenderlo io?
Ladyzilla si incazza ogni volta che vede un cameriere buttare via dei piatti pieni, e accigliata si chiede: Si lamentano, ma vorrei sapere che cosa cazzo mangiano questi a casa loro.
Aragosta, controfiletto, pasta fresca… e da bere?
Caviale, presumo.

Salsa.
Dopo un po’, se sei minimamente onesto con te stesso, te lo chiedi per forza: Ma questi, come diavolo fanno a muoversi così?
Qui ballano tutti.
Chiaramente ballano i ballerini, ballano gli animatori, ma ballano anche le donne delle pulizie mentre spazzano per terra, ancheggiano tirando la cera, ballano i baristi, ballano i camerieri, ballano quelli alla reception, balla Manta mentre aspetta che si riempia il trenino, ballano, sculettano, si agitano tenendo il tempo, flettendo dei muscoli che devono avere soltanto loro.
Di nascosto, vergognandomi come un ladro, ho provato anche io a ballare la Salsa, ma sembravo soltanto uno che si preparava per la corsa nei sacchi.
Il fulcro dell’animazione serale è un gruppo di ballerini professionisti, ogni sera fanno uno show, esibendosi in danze caraibiche, danze moderne, stacchetti in costume e quant’altro.
Nel pomeriggio, coadiuvati dagli animatori, cercano di insegnare i rudimenti del ballo agli itagliani con molto spirito di emulazione.
Ogni tanto, passando lì davanti, si può godere delle differenze.
Una ballerina mulatta di un metro e ottantacinque, leggera e leggiadra che balla con la stessa naturalezza con cui respira, senza nemmeno sudare, a fianco di una centralinista di Sasso Marconi, sudata come un gregario di Coppi durante una tappa dolomitica, lingua fuori, coordinazione che dura al massimo otto secondi e occidentalissime chiappe molli che si agitano attraverso un costume fucsia.

Carlos Puebla.
Onestamente, la Salsa e i Salseri sono belli da vedere, loro però, perché è roba loro, e la sanno ballare, punto.
La Salsa da ascoltare, dopo un po’ mi frantuma le gonadi.
Ripiego sulle canzone popolari classiche, che i musicisti dell’albergo suonano dal vivo a tutte le ore, la sera sul palco, e di giorno a zonzo per il villaggio con le chitarre a tracolla.
La hit dell’estate è chiaramente Hasta Siempre, la canzone su Che Guevara scritta da Carlos Puebla.
In un negozio scovo un Cd , Carlos Puebla y sus tradicionales, copertina nera, scritte rosse, ritratto del Che in bianco e nero.
Altro souvenir.

(continua)


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